La capacità più specifica dell’essere umano è quella di rendersi conto di esistere, avere un corpo fisico, provare sentimenti, emozioni, desideri, di essere consapevole di pensare, vivere in uno spazio fisico e in un ambiente sociale, avere delle aspirazioni e degli ideali da condividere con altri esseri umani. Tale capacità è comunemente chiamata coscienza o, più esattamente, “autocoscienza”.
La coscienza, infatti, può essere percepita anche negli altri regni di natura solo che si consideri come materia, energia, vita, coscienza sono manifestazioni di un continuo divenire, risposta allo stimolo perenne a evolvere. È così che, attraverso le forme vegetali e animali, per gradazioni successive, si manifesta quel progressivo psichismo che costituisce la massima realizzazione della vita.
Lo stimolo a evolvere, quale principio che dirige tutti gli esseri viventi, pur restando sempre eguale, si manifesta in modo diverso a seconda del livello evolutivo dell’essere e si rivela in misura corrispondente alle potenzialità da esso conquistate.
In corrispondenza con una maggiore progressiva individuazione, si stabilisce uno scambio sempre più intenso con l’ambiente circostante; la coscienza si arricchisce e si perfeziona; si specializzano le attitudini dell’essere vivente e nasce l’istinto, una coscienza che sa, ricorda, prevede. L’istinto di conservazione è la caratteristica fondamentale della vita fin dal suo primo apparire e si afferma con tutte le astuzie e tutti i mezzi immaginabili.
Gli animali nascono con una dotazione d’istinti che consente loro di adattarsi spontaneamente al mondo circostante, con cui sono in armonia perché l’eredità istintiva fornisce loro un preciso posto in esso. Si tratta, però, di una situazione pressoché rigida, in cui non è l’individuo in sé a contare, ma piuttosto la specie.
La situazione comincia a mutare e diviene tanto più flessibile e modificabile, quanto meno prestabilita è la risposta istintiva. L’individuo diviene così un sistema aperto che può rispondere in modi non necessariamente previsti alle situazioni che lo scambio con l’ambiente circostante gli propone. In questa nuova situazione, il bagaglio istintivo non è più di per sé sufficiente ad assicurare la vita e lo sviluppo e perciò l’individuo deve compensare questa carenza sviluppando le sue capacità di apprendimento.
È così che la coscienza, già presente nella materia e ben visibile nei mammiferi superiori, diviene nell’essere umano autocoscienza o capacità di riflessione. Ci troviamo davanti a un salto qualitativo di portata immensa, che immette la Vita direttamente nella dimensione psichica: astrazione, logica, scelte e invenzioni ragionate, scienze matematiche, arte, percezione calcolata dello spazio e della durata, ansie e sogni, immettono la Materia in evoluzione in una sfera totalmente immateriale.
L’individuo, che fino a un istante prima non aveva importanza se non come parte di una specie, diviene improvvisamente il centro del Mondo. L’io riesce a reggersi divenendo sempre più se stesso, assimilando a sé tutto il resto, personalizzandosi sempre più. L’essere umano, proprio per questa caratteristica, non è più spiegabile o catalogabile con la sola anatomia, ma occorre anche la psicologia.
Ciò che unisce (e divide) gli esseri umani non è più soltanto la fisiologia perché l’autocoscienza, con tutto ciò che essa comporta, diviene un fattore potentissimo di aggregazione e accumulazione da cui nascono la cultura, l’educazione, la civiltà, che, a loro volta, si traducono in aumento di coscienza. L’animalità, con le sue leggi e i suoi istinti, continua a essere presente nella struttura dell’essere umano, ma viene trasformata dall’autocoscienza, che è in grado di darle un senso nuovo, che prima non aveva.
La coscienza individuale è dunque una meta evolutiva per l’essere umano che, a partire dalla nascita, inizia un processo di separazione dal mondo e dagli altri che lo porterà a divenire indipendente e distinto. È un processo mediante il quale sono recisi i legami di dipendenza e che si svolge insieme con lo sviluppo fisico, emotivo e mentale dell’individuo e con l’integrazione progressiva di questi livelli in una personalità organizzata e armonizzata.
Le tappe del processo di individuazione non sempre corrispondono, però, con quelle della crescita e del rafforzamento della personalità, e perciò l’individuo non è in grado di sopportare la più immediata conseguenza di tale processo: la solitudine, che genera angoscia e un senso d’impotenza che è necessario in qualche modo superare per poter vivere.
La soluzione che la maggior parte degli esseri umani “normali” trova a questo problema è il conformismo all’interno di un gruppo: adottando il modello di personalità offerto dal gruppo, divenendo come tutti gli altri (anzi, come questi pretendono che egli sia) il divario tra l’individuo e il mondo si attenua fino a scomparire e, con esso, si attenua e scompare anche l’angoscia della solitudine.
Accade dunque che l’essere umano è spinto a rinunciare alla sua individualità nel tentativo di riguadagnare quella che sente come una perduta condizione di sicurezza e appartenenza. È questa la tentazione di riguadagnare il paradiso perduto, di regredire alla condizione di “armonia” precedente all’autocoscienza: una pseudo-armonia in cui non esiste l’individuo, perché la coscienza è ancora indifferenziata.
Il prezzo di tutto questo è la sottomissione e la dipendenza, l’arresto della crescita, il blocco di qualsiasi capacità di decisione, l’incapacità e la rinuncia a realizzare i propri ideali. In tal modo l’essere umano non rinuncia soltanto alla sua individualità, perché, scomparendo come individuo, rinuncia anche a ciò che lo rende differente e così diviene parte di un gregge.
Se questa è la situazione di chi rinuncia a sviluppare la sua coscienza individuale, per gli individui che hanno realizzato la loro individualità si aprono ben altre prospettive.
Gli esseri umani pienamente realizzati, che hanno sufficientemente soddisfatto le necessità di sicurezza, appartenenza, amore, rispetto e stima di sé, non sono più preoccupati di se stessi, ma entrano in rapporto con il mondo e con gli altri in modo creativo, aperto, altruistico, amorevole.
Manifestano capacità positive, attuano le loro potenzialità senza dipendere dagli altri, tendono all’unità e all’integrazione all’interno di sé e, come conseguenza di ciò, diventano poli d’integrazione anche all’esterno.
Tra l’essere umano non ancora differenziato dal mondo esterno e quello pienamente realizzato vi è, però, un cammino graduale le cui tappe devono essere percorse senza possibilità di salti e perciò la realizzazione dei valori che si fondano sulle qualità intrinseche dell’essere umano ha significato e ampiezza differente a seconda del cammino percorso.
La soddisfazione dei bisogni fisici e di quelli psicologici fondamentali, cioè dei bisogni che appartengono ai livelli inferiore e medio della personalità, costituisce la premessa indispensabile perché si possano soddisfare i bisogni del livello superiore.
L’attuazione di sé può essere raggiunta a diversi livelli e ogni volta l’essere umano procede a fare un passo avanti sulla strada dell’ampliamento della sua coscienza. La realizzazione di una personalità integrata e armonizzata dall’Io costituisce, invero, una meta per l’uomo diviso in subpersonalità in conflitto.
Ma la realizzazione di tutte le potenzialità umane comporta che si proceda oltre e si attribuisca particolare valore alle potenzialità che appartengono alla dimensione supercosciente, perché è in questa dimensione che si incontra una coscienza più ampia di quella individuale, che si apre a una prospettiva più universale.
I contenuti del supercosciente, normalmente inconsci, entrano nel campo della coscienza ordinaria e vi rimangono per un tempo più o meno lungo, analogamente con quanto avviene per i contenuti degli altri livelli dell’inconscio.
Sperimentiamo un senso di pienezza, completezza, intensità, ricchezza, bellezza, gioia, verità, semplicità, libertà interiore, che ci portano a trascendere i limiti della nostra individualità. L’io personale, entrando in contatto con contenuti psichici molto prossimi al Sé transpersonale, ne riceve un senso di stabilità, immutabilità, permanenza.
Ciò avviene spesso in modo spontaneo, ma può essere favorito e attivato con esercizi per attrarre e facilitare la discesa di influssi supercoscienti nel campo della coscienza e, ancor più, per elevare la coscienza verso quel livello. Il punto di vista del Sé transpersonale è più elevato di quello dell’io personale e il suo senso delle proporzioni degli avvenimenti è diverso da quello, limitato, della coscienza individuale.
Possiamo chiamare questo punto di vista “coscienza transpersonale o di gruppo”. Essa è ben altra cosa da quella coscienza indifferenziata che ignora il confine che separa l’individuo dalla specie, dagli altri, dal mondo, e dalla quale si evolve la coscienza individuale. Nella coscienza di gruppo tale confine non è ignorato, ma trasceso da un punto di vista più elevato.
Se nel processo di individuazione ci si era identificati di volta in volta con il corpo fisico, le emozioni, la mente, per poi disidentificarsi da essi e quindi armonizzarli attorno all’Io in una personalità integrata, l’ulteriore passo rappresentato dalla coscienza di gruppo sarà quello di porre la personalità così integrata al servizio del Sé transpersonale, la nostra identità più vera e profonda che condividiamo con quella di tutti gli altri esseri umani.
Con questo non accadrà di perdere il contatto o il controllo della personalità o dei suoi strumenti. Accadrà, invece, che essi non saranno più un confine insuperabile come in passato, quando non era possibile uscire dal ruolo, dalla facciata con cui si era identificati. Quando si è in contatto con il Sé transpersonale l’accesso ai vari livelli della personalità è sempre possibile, ma essi non saranno più un vincolo o un limite, non separeranno ma saranno utilizzati per unire.
A livello transpersonale i rapporti con gli altri si trasformano, perché non vale più la legge della personalità, che ci fa amare chi ci ama, ci accetta, ci gratifica o rassicura. A quel livello gli altri sono noi: è nata una nuova coscienza, la coscienza di gruppo per la quale valgono leggi diverse da quelle valide in precedenza.
La prima di queste leggi è quella che ci spinge a realizzare giusti rapporti, giusti non nel senso che sono approvati da un’autorità, ma nel senso che sono corretti in relazione al livello in cui si svolgono. Si tratta di una legge che riguarda sia il regno umano sia gli altri regni di natura, perché sulla Terra siamo tutti interconnessi in una rete di interdipendenza che si sviluppa sia in senso orizzontale sia verticale.
Ciò è vero a tutti i livelli, non soltanto a quello fisico: ce ne rendiamo conto quando eventi di rilievo ci collegano a moti emotivi o a modi di pensare planetari. La legge dei giusti rapporti riguarda il campo totale in cui viviamo e ci chiede di assumere consapevole responsabilità della parte che vi svolgiamo per dissolvere gli ostacoli a tali giusti rapporti, dentro e fuori di noi.
Nel lavoro per dissolvere gli ostacoli ai giusti rapporti scopriamo immediatamente di non essere soli, scopriamo cioè che vi sono gruppi di uomini che stanno lavorando per lo stesso scopo. Diventiamo in tal modo consapevoli di un’altra legge che ci spinge a lavorare in gruppo.
Non un gruppo alle dipendenze di un leader più o meno autoritario, ma un gruppo in cui ciascun individuo si sente collegato a tutti gli altri da un ideale comune e uno scopo condiviso. Questa legge del lavoro di gruppo ci spinge a realizzare il maggior bene possibile per il maggior numero possibile di esseri umani.
Una volta divenuti consapevoli di queste due leggi, il processo di sviluppo di noi stessi non è più qualcosa che riguarda soltanto noi, ma appartiene a tutta l’umanità. Questa consapevolezza ci apre a una terza legge, quella che regola la perenne evoluzione di tutti gli esseri sulla Terra e della Terra stessa.
Questa legge ci spinge a percepirci sempre più come parte di un tutto, ci induce a spostare l’orientamento della nostra vita dal passato verso il futuro, ad avvicinarci sempre più ai livelli non materiali dell’esistenza, quella che possiamo chiamare realtà spirituale.
Comprendiamo che la così detta “realtà fenomenica”, è soltanto un effetto di cause che appartengono a livelli più elevati, non materiali; che la nostra coscienza ha la possibilità di accedere a questa realtà non materiale in cui si mettono in moto tali cause; che possiamo divenire noi stessi la causa di nuovi effetti nel mondo fenomenico, producendo reali cambiamenti interni ed esterni.