La mia riflessione parte da un’affermazione sulla quale penso di trovarvi d’accordo: viviamo in una civiltà basata sul predominio dell’interesse personale e materiale, del calcolo e della quantità, dell’economia e dei numeri (PIL, crescita, statistiche, sondaggi).
Questo predominio è stato negli ultimi anni accentuato dalla parola, “crisi”, ormai divenuta un luogo comune perché ripetuto da tutti: non una crisi che nasce da situazioni interiori, ma che s’impone dall’esterno e sembra essere diventata ormai il motivo di fondo della nostra vita, gettando sinistri presagi di catastrofi che, come individui, non possiamo in alcun modo fronteggiare.
Tutto questo genera un senso d’impotenza e frustrazione e, quel che è peggio, ci costringe a portare ancor più l’attenzione sugli aspetti materiali e quantitativi della vita perché, facendo leva sulla paura di perdere il benessere rappresentato dalle cose possedute e dai consumi ai quali ci eravamo (o eravamo stati!) assuefatti, attiva meccanismi inconsci di iper-compensazione e ci obbliga a ricercare spasmodicamente sicurezze materiali irrealizzabili o, comunque, mai sufficienti, con il risultato di accentuare la paura stessa, accrescere la frustrazione e il senso d’impotenza e isolarci ancor più nella nostra individualità (personale, familiare, etnica, …)
Si tratta di un circolo vizioso, un meccanismo perverso, teso a farci concentrare sull’insufficienza o la mancanza (anche solo temuta!) di beni materiali, col risultato di sentirci poveri perché dimentichi di ciò che abbiamo, ma anche di chi siamo.
Come uscir fuori da questo circolo vizioso? È innegabile che oggi ci troviamo ad affrontare tutta una serie di problemi interconnessi e interdipendenti e che ogni tentativo di soluzione isolata d’uno di essi è destinato al fallimento. È allora necessario cambiare radicalmente il modo di pensare e gli stessi valori sui quali è fondata la nostra vita, perché è dai concetti e dai valori condivisi da una comunità che scaturisce una visione particolare della realtà, come base del modo in cui tale comunità si organizza.
Ci rendiamo conto che la nostra società è ancor oggi fondata su idee e valori che l’hanno dominata per centinaia di anni. Si tratta d’idee e valori messi in discussione da molto tempo, ma che stentano a morire perché profondamente radicati nell’inconscio collettivo e individuale, sebbene il loro fallimento sia oggi sotto gli occhi di tutti:
- la visione della vita come lotta e competizione per l’esistenza
- la fiducia in un progresso materiale illimitato da raggiungere attraverso la crescita economica e tecnologica, in cui il ruolo degli uomini è superiore a quello delle donne
- la visione dell’universo come sistema meccanico
- la visione del corpo umano come macchina
Conseguentemente (citando Fritjof Capra), in questa società le idee e i valori sono antropocentrici, auto-assertivi e trascurano le idee e i valori integrativi, stabilendo in tal modo delle antinomie del tutto arbitrarie: pensiero auto-assertivo (razionale, analitico, riduzionistico, lineare) contro pensiero integrativo (intuitivo, sintetico, olistico, non lineare); valori auto-assertivi (come espansione, competizione, quantità, dominazione) contro valori integrativi (come conservazione, cooperazione, qualità, associazione). E non è per caso che il pensiero e i valori auto-assertivi siano considerati “maschili”, mentre il pensiero e i valori integrativi siano considerati “femminili”.
È quindi necessario cambiare radicalmente il modo di pensare e gli stessi valori sui quali è fondata la nostra vita, sviluppando il pensiero e i valori integrativi. In tal modo si potrà ristabilire l’equilibrio tra maschile e femminile da lungo tempo compromesso, l’unico in grado di fornire una base nuova e una nuova direzione alla società, alla scienza, alla tecnologia, affinché si spostino da una visione antropo-centrica a una visione eco-centrica.
È un cambiamento del quale si sente ormai tutta l’urgenza e che corrisponde a un ampliamento della coscienza dal singolo (o dal piccolo gruppo di cui egli si sente parte) all’intero Pianeta, sentito come un tutto vivente, di cui siamo parte insieme con tutti gli altri esseri che ci vivono. Non qualcosa di astratto, di semplicemente filosofico, ma qualcosa che scaturisce da un senso di appartenenza perché, quando sentiamo di appartenere a un gruppo, a una comunità, ci comportiamo spontaneamente in modo da sostenerli e farli crescere.
Per attuare questo cambiamento è necessario staccarci dalla visione della materia come la “realtà” per eccellenza (che può essere misurata, contata, pesata, suddivisa, analizzata) per cogliere, in una visione più ampia, ciò che dà significato alla materia stessa e cioè il modo in cui le varie parti si connettono a formare sistemi sempre più ampi e complessi. Quando, per esempio, diciamo “casa” non ci riferiamo a un insieme di parti tra di loro isolate, ma al modo in cui queste parti entrano in relazione e, quindi, non alla materia che compone la casa, ma all’interconnessione tra le varie parti, caratteristica peculiare della forma “casa”. Allo stesso modo, quando diciamo “città” non ci riferiamo alle singole case, ma al modo in cui esse si relazionano per formare quella struttura più ampia.
In effetti, noi non percepiamo le cose in termini di elementi isolati, ma come strutture integrate, totalità organizzate dotate di significato e con qualità che sono assenti nelle loro parti. Ciò che conta non è, dunque, l’insieme degli elementi materiali, ma la struttura organizzata che dà loro ordine e significato, perché una struttura è costituita da una rete di relazioni che permane indipendentemente dalla permanenza dei singoli componenti, come avviene per il nostro corpo fisico che permane per molti anni, mentre le sue cellule vengono continuamente rinnovate.
Qualsiasi insieme materiale è, così, composto di sostanza (o struttura) e forma (o schema di organizzazione). Per studiare una struttura è necessario misurarne e pesarne i componenti, ma per studiare un’organizzazione è necessario cogliere la configurazione delle relazioni esistenti tra i componenti, cioè lo schema. La struttura coinvolge la quantità, mentre l’organizzazione coinvolge la qualità. Se si distrugge l’organizzazione l’insieme muore, anche se i suoi componenti strutturali sono ancora tutti presenti.
Se, dunque, abbiamo creduto per secoli che in ogni sistema complesso il comportamento del tutto potesse essere analizzato e compreso attraverso l’analisi delle sue parti, oggi cominciamo a renderci conto che è possibile comprendere le proprietà delle parti soltanto attraverso lo studio e la comprensione dell’insieme che le contiene. Si tratta di una rivoluzione altrettanto importante di quella copernicana che ci permette di vedere le parti inserite in una trama inscindibile di relazioni significative e, a loro volta, come sottoinsiemi costituiti anch’essi da trame di relazioni significative.
Questa visione ci porta a vedere il nostro mondo come composto da livelli diversi di relazione e, quindi, di significato. Non esiste una certezza oggettiva e definitiva, perché è possibile conoscere la realtà in modo ogni volta più ampio, ma sempre incompleto e approssimato. La conseguenza più importante è che l’attenzione si sposta dai singoli oggetti, dai singoli eventi collegati in modo lineare, al processo in cui sono inseriti, di cui fanno parte e in cui acquistano un significato relativo. In tal modo, non è importante arrivare a una conclusione definitiva, ma è fondamentale progredire, ampliando continuamente l’orizzonte.
Questa del processo è una realtà che troviamo a tutti i livelli del nostro essere. A livello fisico, come a quello psichico, esistono meccanismi di autoregolazione che permettono di mantenerci in uno stato di equilibrio dinamico, analogo a quello che manteniamo quando ci spostiamo camminando o pedalando su una bicicletta. In nessun istante della nostra vita fisica o psichica possiamo trovare qualcosa di definitivo o di statico, anche se ci illudiamo continuamente del contrario e ci affanniamo nell’inutile tentativo di rendere statica la nostra vita.
L’unica stabilità possibile è quella dinamica ed essa è data da continui aggiustamenti (che spesso chiamiamo “crisi”) attraverso i quali si svolge il processo di sviluppo verso uno stato di equilibrio sempre nuovo e sempre provvisorio. Analogamente con quanto avviene in un aereo o in una nave, il cui pilota (anche se automatico) mantiene la rotta che li porterà a destinazione non già bloccando il timone in una posizione fissa, ma muovendolo con continui aggiustamenti che, compensando gli effetti degli eventi esterni e interni, riportano ogni volta la prua nella direzione giusta.
La nostra personalità è strutturata per funzionare nel mondo che conosciamo, da cui proveniamo e che tende a perpetuare se stesso. Da qui la divisione della realtà in due parti: buono/cattivo, bianco/nero, da accettare/da rifiutare. Dove ciò che è buono, bianco, da accettare, corrisponde con ciò che conosciamo e che proviene dal passato. Occorre superare tale dicotomia e guardare a qualsiasi esperienza, a qualsiasi evento, come significativi in se stessi, proprio attraverso il contrasto tra il buono e il cattivo, il bianco e il nero. È tale significato ciò che conta e che dobbiamo scoprire, intuendo che il presente è l’effetto del passato e, contemporaneamente, la causa del futuro. L’identificarci e attaccarci a una parte della realtà, qualunque essa sia, ci mutila e impoverisce.
Per comprendere come gli eventi della vita non siano isolati (buoni o cattivi, bianchi o neri), ma strettamente collegati, possiamo utilizzare la teoria dei sistemi, alla quale ho accennato prima. Un sistema è l’insieme di strutture, dette sotto-sistemi, che, in virtù della interdipendenza e interazione delle parti, operano concordemente per conseguire un obiettivo o un fine. Per conseguire il proprio fine, il sistema contiene in sé la decisione o il principio che guida e controlla la somma dei processi necessari, svolti dai sotto-sistemi, per raggiungere la meta prefissata.
Qualsiasi sistema, per esistere ed evolvere, deve interagire e adattarsi ai principi e alle leggi del sovra-sistema in cui è inserito e di cui è parte. Si può, dunque, parlare di diversi piani di realtà, comunicanti e dotati ciascuno di principi e leggi. A mano a mano che ci si sposta dalla materia, alla vita biologica, a quella psichica e transpersonale, il determinismo meccanico lascia il posto a possibilità sempre più ampie, che accrescono la libertà di scelta del sistema. Tale libertà opera, però, all’interno della legge universale di causa-effetto, perciò ogni scelta attuata da un sistema produce degli effetti che riguardano i sotto e sovra-sistemi cui è connesso, incidendo anche sul loro tempo.
Possiamo considerare ciascun essere umano come un sistema composto di sotto-sistemi e, a sua volta, sotto-sistema di sistemi più ampi, fino all’Universo, infinita gerarchia di sistemi. Nella gerarchia dei sistemi, il sovra-sistema indica la strada e l’obiettivo al sotto-sistema, ma l’essere umano ha la libertà di non ascoltare o seguire le indicazioni dei sovra-sistemi di cui fa parte, con la conseguenza di isolarsi e uscir fuori dal Piano dal quale trae il senso stesso del suo esistere. L’essere umano, visto in relazione soltanto con il basso, come totalità avulsa da qualsivoglia sovra-sistema, è un essere limitato, fuori dal tempo e senza futuro. In relazione anche con l’alto, si trasforma in un essere consapevole del mare di energie di cui è parte (ma di cui è schiavo, se inconsapevole) e che lo proiettano nell’Infinito.
La globalizzazione ci ha fatto prendere coscienza del fatto che tutti noi apparteniamo a due comunità planetarie interconnesse: l’umanità e la biosfera globale. La parola greca “oikos” (famiglia o casa) è la radice della parola “ecologia”, ma – come ci ha ricordato papa Francesco nell’enciclica “Laudato sii” – non un’ecologia limitata al mondo esterno, bensì una “ecologia integrale”, che riguarda le nostre vite in profondità, la nostra civiltà, le nostre riflessioni, i nostri modi d’agire, la sola in grado di farci uscire dal paradigma “tecno-economico”, che ci impone di pensare e agire nella fedeltà ai postulati tecnici ed economici per risolvere ogni cosa. Vivere in modo ecologico significa sviluppare la consapevolezza di essere parte di un’infinita rete che ci attraversa e si estende sotto e sopra di noi.
Utilizzando questa consapevolezza, possiamo contribuire alla creazione di relazioni diverse con gli altri membri di questa grande famiglia planetaria alla quale apparteniamo e che formano quella vasta rete di relazioni che sempre Fritjof Capra ha indicato come “rete della vita” e la cui caratteristica preminente è “la capacità intrinseca di sostenere la vita”. Come esseri umani è necessario che ci comportiamo in modo tale da non interferire con questa capacità intrinseca: è questo il significato essenziale di sostenibilità ecologica. Ciò che viene sostenuto in una comunità sostenibile non è la crescita economica o lo sviluppo, bensì l’intera rete della vita della quale facciamo parte.
Tale rete si estende in tutte le direzioni, con la conseguenza che in essa le relazioni tra le parti non sono lineari. Nella rete un messaggio può viaggiare lungo un percorso ciclico, che può diventare un anello di retroazione. Per esempio, un segnale trasmesso da un componente della rete produce nel componente che lo riceve un effetto che, ritrasmesso ad altri componenti, ritorna poi al primo componente da cui è partito come uno stimolo che induce una modificazione del segnale originario. Questo segnale modificato, a sua volta ritrasmesso nella rete, induce tutta una serie di modificazioni successive, del tutto imprevedibili in un sistema semplicemente sequenziale.
Questa caratteristica rende la rete capace di auto-regolarsi e anche di auto-organizzarsi, poiché l’energia assorbita dall’ambiente circostante viene integrata nella struttura della rete, che in tal modo accresce il suo ordine interno. Accrescere l’ordine interno significa creare nuovo ordine dove prima non esisteva e, nello stesso tempo, nuova complessità. La rete è, dunque, anche capace di auto-riprodursi.
Come parte di questa rete infinita, possiamo agire in modo da creare nuovi modelli relazionali in grado di modificare quelli esistenti, contribuendo alla nascita di una nuova civiltà. Questo ci fa capire perché è importante lavorare su di sé a livello di individui e di gruppi: il proprio miglioramento, il continuo impegno ad ampliare la coscienza, a portare consapevolmente avanti il processo evolutivo per la parte che ci compete, si trasmettono alla rete e attivano un meccanismo di retroazione, migliorativo dell’intera rete, di quella grande rete di cui facciamo parte e che chiamiamo Terra.